Allarme caccia: una "riforma" che minaccia l'ambiente

Il disegno di legge sulla caccia in preparazione, che potrebbe essere approvato già entro l’estate, rappresenta una deriva pericolosa e profondamente allarmante per chiunque abbia a cuore la tutela dell’ambiente, il benessere animale e il rispetto delle basi scientifiche nelle decisioni pubbliche. Presentato come una semplice “riforma” della normativa venatoria, questo testo punta in realtà a smantellare decenni di conquiste legislative e culturali in materia di conservazione della biodiversità, con la scusa di trasformare la caccia in un'attività “sportivo-motoria” dai presunti benefici sociali, culturali ed economici.
Tra le misure più sconcertanti vi è la proposta di riaprire i roccoli, trappole vegetali usate per la cattura massiva di uccelli migratori, oggi illegali perché considerate a tutti gli effetti strumenti da bracconaggio. Reintrodurle legalmente equivale a normalizzare una pratica barbara, che non ha nulla a che vedere con la gestione faunistica e tutto a che fare con la cattura indiscriminata, silenziosa e crudele. Si parla di impianti che un secolo fa catturavano fino a 600 uccelli in cinque giorni.
Ad aggravare la situazione, l’estensione dell’uso dei richiami vivi – animali imprigionati in gabbiette per attirarne altri, ignari, da colpire. Un’azione che non solo infligge sofferenze inaudite agli individui usati come esca, ma che rappresenta anche un doppio attacco alla fauna: gli uccelli vengono prima catturati e poi usati per intrappolare i propri simili. Il numero di specie utilizzabili aumenterebbe a 47, un’escalation senza freni che ignora ogni logica di tutela. Le condizioni in cui questi animali vengono detenuti sono inaccettabili, e i rischi sanitari – come la trasmissione dell’aviaria – sono ignorati.
Si propone inoltre di consentire la caccia in spiagge e litorali, aree naturali fondamentali per numerose specie migratorie, in particolare limicoli. Ambienti che già subiscono forti pressioni antropiche e che verrebbero ulteriormente devastati dal rumore degli spari, dai carnieri pieni e dall'inquinamento da piombo, una delle principali minacce ambientali legate alla caccia. È legittimo chiedersi se chi redige queste norme abbia mai visto il fragilissimo equilibrio di una zona umida o costiera.
Non basta: si intende ridurre o comunque limitare l’estensione delle aree protette, fissando un tetto massimo del 30% per regione, contravvenendo agli impegni assunti con l’Agenda Europea 2030, che invece prevede proprio il 30% come soglia minima. Se davvero i cacciatori amassero la fauna, perché voler togliere agli animali le loro uniche aree di rifugio?
Inquietante anche la scelta di autorizzare gare di caccia e l’addestramento permanente dei cani, con abbattimento di selvaggina, anche durante i periodi più delicati per la fauna, come la riproduzione e l’allevamento dei piccoli. Non si tratterebbe più ufficialmente di caccia, ma il risultato sarebbe lo stesso: un disturbo continuo, devastante, impossibile da controllare.
La sostituzione del parere tecnico e indipendente dell’ISPRA con quello di un “Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale” sotto il controllo diretto del Ministero dell’Agricoltura è un colpo di mano gravissimo. Un’invasione politica della scienza, che mina la credibilità dell’intero processo decisionale e introduce un conflitto di interessi devastante: chi deve regolare l’attività venatoria sarà lo stesso che ne difende i promotori.
La liberalizzazione della caccia sui valichi montani – aree di passaggio obbligato per milioni di uccelli migratori – è l’ennesima prova che non si tratta di gestione sostenibile, ma di puro e semplice massacro. Sparare a uccelli esausti, che volano da giorni e si concentrano in punti precisi, è una pratica inaccettabile.
Ancora più spaventosa è la possibilità di estendere il calendario venatorio fino alla primavera inoltrata, quando gli animali iniziano la nidificazione. Nessuna specie può resistere a un prelievo così intenso, prolungato e sistematico. Non bastano i mesi d’autunno e d’inverno? Si vuole sparare anche mentre si riproducono?
Si ipotizza inoltre di estendere la caccia notturna, nonostante già oggi si registrino troppi incidenti anche alla luce del giorno. I dati sugli errori e le vittime parlano chiaro. Di notte, ogni possibilità di controllo e sicurezza verrebbe a mancare.
Infine, la caccia su neve, oggi vietata perché gli animali sono in condizioni di estrema vulnerabilità, verrebbe sdoganata. Sparare ad animali visibili, rallentati, stremati.Tutto questo non ha nulla a che vedere con la conservazione, la sostenibilità o il rispetto degli ecosistemi. Si tratta di un regalo elettorale al mondo venatorio, un’operazione cinica che strizza l’occhio anche all’industria delle armi e ad alcuni settori agricoli, interessati unicamente a ridurre le popolazioni di animali ritenuti “nocivi”. Non è una riforma, è una svendita. E nei blog e forum di settore, si leggono minacce esplicite contro i politici contrari: “Non ti voteremo più”, “Hai perso il nostro voto”. Il tutto condito da ricatti elettorali e un’arroganza crescente.
Di fronte a uno scenario dominato dagli estremisti, è necessario che anche il mondo venatorio più consapevole alzi la voce: non è accettabile che, nei termini estremisti del progetto annunciato, si sacrifichi la biodiversità, si legittimi la sofferenza animale in nome del piacere di pochi umani verso il rito della sofferenza e del sangue sulle vite minori, oltretutto, spingendo la provocazione verso la società civile sino a proporre di abbassare a 16 anni l’età minima per impugnare un fucile e sparare a un animale.
Se il buon senso non prevarrà servirà una reazione di livello, prepariamoci.