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Il lupo: numeri e conseguenze

Lupo sulla neve in mezzo agli alberi

I lupi in Italia hanno rischiato l'estinzione. Nel 1970 erano rimasti uno striminzito centinaio, isolati nelle zone più selvagge d'Italia: l’Appennino centrale, la Sila, la Basilicata - il cui antico nome Lucania deriva dal nome greco del lupo lykos. Il più recente censimento concluso nella primavera del 2021 ha documentato la presenza di circa 3.300 lupi in tutta la penisola. I lupi italiani non rischiano più l’estinzione ma non bisogna abbassare la guardia, perché oggi la conservazione del loro patrimonio genetico speciale (Canis lupus italicus) è minacciata dalla potenziale ibridazione con i cani domestici, il cui numero in Italia (circa 10 milioni quelli iscritti all’anagrafe canina) supera di 3.000 volte quello dei lupi, senza considerare altri 800.000 cani completamente inselvatichiti. Le ragioni della loro espansione negli ultimi 50 anni sono 4, una derivante dallo specifico comportamento del lupo e 3 collegate alle azioni umane. La caratteristica più saliente dei lupi è la dispersione. I giovani a circa un anno di età lasciano per sempre il branco di origine e si allontanano anche di centinaia di chilometri per trovare un nuovo territorio tutto loro e un partner con il quale mettere su casa e famiglia. Questo è il primo fattore, quello lupino, del loro ritorno. Poi, a partire dalla fine del secondo conflitto mondiale, in tutta Europa e specialmente in Italia, uomini e donne hanno progressivamente abbandonato le Terre Alte, le Alpi, gli Appennini e si sono rapidamente inurbati. Di conseguenza gli alberi, prima continuamente tagliati, hanno potuto riformare boschi ampi e sani e hanno ricreato l'habitat ideale per i lupi e le loro prede. Queste ultime, sterminate nei secoli alla pari dei loro predatori, sono state continuamente reintrodotte in ogni parte d'Italia. Cervi, caprioli e cinghiali erano ridotti al lumicino e oggi sono centinaia di migliaia e rappresentano il cibo preferito dei lupi. Infine le società umane, che per secoli avevano pianificato lo sterminio dei lupi con ogni mezzo immaginabile, negli anni settanta del secolo scorso hanno stabilito che il lupo doveva diventare un animale protetto per il suo insostituibile ruolo negli equilibri naturali. I lupi sono, quasi per definizione, degli splendidi opportunisti. Non diventerebbero adulti e forti, se non fosse così. Quindi hanno velocemente approfittato delle nuove condizioni favorevoli e si sono dispersi ripopolando l’Italia. Le stesse cause - habitat migliorati, prede abbondanti, protezione legale - ne favoriscono l’espansione in tutta Europa, dove si stima la presenza di circa 18.000 lupi, di cui 13.000 negli stati membri dell'Unione Europea (e 300.000 si pensa vivano oggi sull’intero pianeta). Gli etologi li suddividono in 9 areali (www.lcie.org): la penisola Iberica nord-occidentale, tutte le Alpi, gli Appennini italiani, i Carpazi, i Balcani, il Baltico, la Karelia, il Centro-Europa e la Scandinavia. Si tratta di separazioni teoriche, utili per studiare i lupi nelle varie regioni e per ipotizzare azioni gestionali, ma in realtà tutte le popolazioni sono ormai interconnesse e gli scambi con i lupi vicini - anche di quelli che più a lungo sono rimasti isolati come spagnoli e italiani - sono ormai frequenti e lo diventeranno sempre di più futuro. Affascina e commuove che da Cabo de Roca in Portogallo alla Kamchatka in Russia si stia riformando un corridoio lupesco che unisce l’Atlantico al Pacifico la cui continuità ha cominciato a interrompersi ai tempi della caduta di Costantinopoli. 

Le conseguenze

Ovunque tornino, i lupi causano danni e suscitano paure. I pastori da un lato hanno trascurato le tecniche di difesa delle greggi – inutili in assenza dei predatori – e dall’altro hanno aumentato il numero degli animali domestici sui pascoli. Per il lupo, una pecora indifesa sarà sempre una cena più facile di un cervo o un cinghiale. Allora è indispensabile mettere in campo ogni possibile metodo di salvaguardia, come reti, dissuasori acustici e luminosi, ricoveri notturni, cani da guardiania, sorveglianza continua. Comporta pesanti costi aggiuntivi in tempo e denaro agli allevatori i quali, ancorché aiutati da contributi pubblici, talvolta vedono il lupo come la classica ultima “goccia” che fa traboccare un vaso ricolmo di altri problemi: aumento dei canoni di affitto, invendibilità di lana e carne, fatiscenza dei fabbricati d’alpe, diserbanti a bordo strada, siccità, scarsità dei fieni, fulminazioni, cadute, furti, smarrimenti. Un lungo elenco appena tollerabile dove i lupi non ci sono, insostenibile dopo il loro ritorno. I lupi diventano allora dei boia crudeli che assestano il colpo di grazia ad aziende già agonizzanti.

Persino quando riescono a proteggere i propri animali, i pastori non possono stare tranquilli. I sistemi di difesa vanno sistemati e manutenuti ogni giorno, i cani vanno alimentati in quota e continuamente educati perché non diventino un pericolo per i turisti, ogni errore di gestione viene punito infallibilmente dai lupi che come indiani pellerossa sorvegliano per settimane mandrie e greggi per approfittare della prima falla, della prima distrazione, della prima dimenticanza o trascuratezza. Dove torna il lupo, nulla può più essere come prima. E gli allevatori sono come Alice alla quale la Regina di Quadri spiegava “Vedi, qui devi correre più che puoi per rimanere sempre nello stesso posto”.

Non solo i pastori devono cambiare le proprie abitudini. Escursionisti e bikers devono imparare come comportarsi nel caso incontrino i cani da difesa (non provocarli, girare alla larga, trattenere i propri cani, scendere dalla bicicletta) e, magari, rispettare maggiormente il lavoro di chi vive in montagna accettando di pagare di più il formaggio d’alpeggio perché è prodotto “nonostante il lupo”. Gli amministratori pubblici dovrebbero essere più flessibili e severi nell’erogare i contributi pubblici, scoraggiando i furbastri e favorendo le aziende propositive. Intorno a un'industria in crisi si prodigano economisti, sindacalisti, esperti di logistica e marketing, per individuare le problematiche generali e lavorative di quella fabbrica e tentare soluzioni a 360°. Come mai non succede quando a essere compromesse dal ritorno del lupo sono le filiere dei pastori?

Il lupo è come un coach severo che ci costringe a esercizi di ginnastica ripetitivi e faticosi. Ma se vogliamo rimetterci in forma, servono proprio quelli e l'allenatore che odiamo mentre ci fa sudare sarà più efficace di un altro meno implacabile. Il problema è che il lupo non lo abbiamo scelto, non ci siamo iscritti volontariamente alla sua palestra come ogni inizio anno in base a buoni propositi sempre disattesi. È arrivato inatteso e impietoso, proprio come nella sua natura di Lupo. 

 

Editoriale scritto da: Luca Giunti